Cristina Annino

La mia poesia

Ottetto per Madre

Il Panda
Senza pace, con pena e senza girarmi mai, pestando mica pepe o caffè ma gardenie, io amo la mamma e i topi; li metto insieme chissà perché. O ancora, Perché volere bene a quel modo? Spezzato così in due, collo in già, polvere senza cerniere, bottone, qualcosa. Sempre senza girarmi. I Perché chiarendo la vita ai tranvai, alle piante. Lei, pura, mi dà questa riserva di bambù. Nient’altro. Poi via. Io su, che l’ho addosso oramai e non posso schivarla, pestarla nemmeno, mettendo con cura ogni piede tra l’erba...

2
Si fa sabbia così, si sfalda al vento di casa mia. Accusa altre cose deboli, la cecità, per esempio. Io non so cosa dire quando siede su me come fossi cemento. Oppure vola, ci credo, va via, si stende altissimamente e in largo. La guardo con quella paura dei nani per un monumento.

3
Lei ora elegante, vistosa come le madri, si stacca dal niente e ride. Qualcosa dei venti, d’urgente, una fuga, un ritorno, mi lega a lei che darei tutto il corpo per quella risata. E’ salita col petto in su verso l’estasi delle nubi, a quella distanza più nere che altro; poi È scesa; pioveva. Ha saltato la corda coi piedi fiammanti di santa e al collo perle vere.

4
La vecchia Lina è caduta, cantando, di schiena, com’una forza muta d’un tratto cedesse, togliendo le staffe dietro. Era a cavallo e sbatte in terra. Si prende al viso tirando invano le cataratte. Eccola lì, la vecchia canina mamma.

5
Una donnina tutta lepre, sveglia, s’ accontenta della giornata e beve acqua com’ una spugna. “Ehi!, non ho mica cent’anni per aspettare che te ne vada! Sembri Lazzaro”. Più tardi sfoneremo i capelli alla sera. Rivede tante cose crollare per un capello, saranno persone, cose, non sa, ma non meraviglia che resti il sughero ancora sulla bottiglia del fumo. Ce la passiamo a vicenda. Anche la città s’incendia ai suoi piedi ora ch’è buio e lei evapora sulla pira, entrando in me con gas letale. Siringa. Chiudo in tempo col tappo il foro, e niente è più bello qui: lo sguardo di lei sull’anello al dito, su me, poi qualcosa di buono, la stufa, quel caldo oramai più fratello d’un uomo.

6
Potrei tirar su con le mani tutta l’acqua del mare. Anche più. E attraverserei il fuoco da qui a lei in questo oggi frocio. L’hai vista l’altro giorno com’era? Piccina. Tutto il mondo piccino. Le rotaie del destino oramai fanno clic. Ma lo sai quanto costa un’ochetta così? Che sotto terra, dopo le cene, il quadrato di tanta insonnia, con lei persino lì starei bene.

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Volano gli spiriti affettivi di qua e di là su noi paurosamente soli, salvati allora dalla coltre ch’ha parato il salto. Quel cinema o quella morte la ribeviamo in piedi nei ricordi di lei ogni sera. Ossessivi. E’ per me esplosione sull’intera linea di fuoco, perché troppo volano gli spiriti affettivi, bruciati come cera dal fosforo. Penitenza Vera, quei canti della mamma al suolo che cantilena ginocchioni senza memoria.

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RICHTER Ancora scale richter. Fuori il sole fa foia. Ma qui! muore la mamma com’un uccello. Pari dignità. Bisogna dirlo che sta andando via. E’ tutta nel becco, tutta lì, tutta vecchie penne senza più cervello. Non vi capiti mai d’essere misurati; tanto è l’ardore tra noi. Più liturgia di dolore sacro, con scranni cerebrali e vesti da cerimonia; chiusi sempre tra le pareti come mosconi. Sono Poco e troppo le cose che vi posai con le mie Ali: tappeti celesti e candelabri vuoti. Anche dentro l’esilarante Richter, che assuefà perdio, metà come sono, ho sete, ma non bevo io disegni divini mai innocui.

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Cristina Annino

Cristina Annino, vive e lavora a Ostia. Nata ad Arezzo, ha studiato a Firenze Lettere Moderne e si è laureata con una tesi sulle prose del poeta César Vallejo. Dopo la laurea, ha fatto pochi anni di assistentato universitario ed è stata ricercatrice del CNR per qualche tempo. Sempre a Firenze frequenta il Caffè Paszkowski, dando vita ad amicizie che dureranno negli anni, soprattutto con Mario Luzi e il critico Luigi Baldacci. Contemporaneamente entra in contatto con il Gruppo ’70, fondato nel 1963 da Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti e partecipa agli incontri della neoavanguardia che si svolgono al Caffè San Marco senza, peraltro, lasciarsi troppo coinvolgere dalla poetica del gruppo. Nel 1969, con le edizioni Téchne di Firenze, pubblica Non me lo dire, non posso crederci. Con il primo matrimonio si interrompe la sua carriera universitaria e la frequentazione degli ambienti letteraria. Nel 1977 pubblica, con la complicità di amici con i quali aveva tenuto rapporti epistolari (soprattutto con Piero Chiara e Giorgio Bàrberi Squarotti) Ritratto di un amico paziente presso l’editore Gabrieli di Roma. Nel 1979 per Forum/Quinta generazione esce il suo primo romanzo Boiter. Nel 1980 vince la prima edizione del premio della casa editrice Bastogi che pubblica Il cane dei miracoli. Dopo il divorzio e riprendendo le letture pubbliche (all’epoca molto vitali) soprattutto nelle città di Roma e Milano e sarà costantemente appoggiata dalla stima di Franco Fortini, Giovanni Giudici e Guido Almansi. Il primo tenterà invano di farla pubblicare da alcune grandi case editrici; dal secondo ebbe il premio Ruzzo Pozzale per il libro Madrid, edito da Corpo 10, Milano, 1987. Almansi a cui fu legata da un’amicizia fraterna,sarà fino alla sua morte solidale con le sue opere anche in prosa, senza riuscire a farle ottenere purtroppo nessun contratto editoriale. Nel 1984 Walter Siti già l’aveva inserita nell’antologia Nuovi poeti italiani, n.3 (Einaudi 1984), operandosi costantemente anche lui nel divulgare la sua poesia. Amicizie importanti e occasioni sfortunate che la gratificavano ugualmente anche sul piano umano. In queti anni , riavvicinatasi al Gruppo70 viaggia molto per tutta Europa, prendendo parte alle performance dei vari avanguardisti, conservando però la sua identità di scrittura. Grande fu la sua amicizia con Eugenio Miccini, Antonio Bueno, Arias Misson, ed altri. Dalle esperienze di questi viaggi e di altri fatti solitariamente in Spagna, si formerà il libro di racconti Una magnifica Giovinezza, molto amato da Guido Almansi, ma tuttora inedito nella sua interezza. Nel 1989 si trasferisce a Roma per il secondo matrimonio e molto più tardi inizierà a dipingere. Segue un altro periodo di interruzioni e conseguenti presenze nel panorama letterario italiano. Infatti, solo dopo la vedovanza (2000) farà mostre collettive e personali in Italia e all’estero. el 2002 esce Gemello carnivoro (Quaderni del circolo degli artisti, Faenza). La collaborazione con poesie al lavoro pittorico di Ronaldo Fiesoli produce, sempre nel 2002, Macrolotto, libro d’arte edito dalle Edizioni Canopo di Prato. Successivamente pubblica Casa d’aquila (Levante, Bari 2008) e Magnificat (Puntoacapo, Novi Ligure 2010), un libro antologico che raccoglie testi dal 1969 al 2009 e che ottiene il Premio ‘Lorenzo Montano’. Nel 2012 viene dato alle stampe Chanson turca (LietoColle, Faloppio). Nel 2013 sue poesie sono inserite nel primo numero dell’almanacco di poesia internazionale “Quadernario. Ventisette poeti d’oggi” edito da LietoColle e diretto da Maurizio Cucchi. Per l’editore ‘Stampa 2009’ esce, nel 2013, la ristampa di Madrid. Suoi testi sono stati tradotti e pubblicati in InVerse 2006. Italian Poets in Traslation (John Cabot University Press, Roma 2007) e in «Italian Poetry Review» (Società Editrice Fiorentina e Columbia University, 2011). Del 2016 è la raccolta Anatomie in fuga (Donzelli Edizioni, Roma). Nel 2016 pubblica con Donzelli, Roma, il libro Anatomie in fuga. Per l’anno 2017, in novembre, è prevista una sua personale presso la galleria ALSON di Milano, curatore Floriano de Santi. Sta lavorando al suo ultimo libro di poesie.

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